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L'AIDS è ora una malattia per sessantenni

Ultimo Aggiornamento: 23/01/2010 19:51
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23/01/2010 19:51

Malati di Aids l'epidemia dei sessantenni

Sono un terzo dei nuovi casi in Italia.«Effetto dei farmaci per l’eterna virilità»

MARCO NEIROTTI

ROMA
Alle statistiche la dimensione del fenomeno. Alla loro lettura, invece, il cammino dell’Aids che scivola come acqua o olio tra le fessure di una difesa debole. Era la «peste» dei drogati, non lo è più. Era l’inferno dei gay, lo è meno.

È contagio che si sparge fra eterosessuali dai venticinque ai quarant’anni, ma pure tra i giovanissimi e i cinquanta-sessantenni che hanno ritrovato una vita sessuale con i farmaci che risvegliano vigore. Ferdinando Aiuti, l’immunologo fin dagli anni Ottanta in battaglia per una prevenzione seria, è colpito dalla tenacia dell’incoscienza: «I gay furono i primi a fare informazione. Per i tossici ci fu attenzione allo scambio di siringhe già negli anni Novanta, poi sono pure mutate sostanze e modi di assunzione. Ma gli altri? Abbiamo diffuso un questionario tra seimila giovanissimi: prende precauzioni meno del 20 per cento, il 18 per cento ha risposto che non serve il profilattico perché tanto c’è il vaccino».

A parte che il vaccino non c’è, si dovrebbe comunque usare prima, non dopo. Eppure anche chi vive più di Internet che di testi scolastici non va a documentarsi. «Il vaccino», «le terapie», «tanto non si muore più». È uno specchio cupo quello che agli adolescenti rilancia l’immagine della generazione sui cinquanta e sessanta. Il «Portale del Cittadino della Terza Età» diffonde dati dei Centers for Disease Control and Prevention americani: fra i nuovi contagiati gli ultracinquantenni sono il 10-15 per cento. Lo stesso portale cita il Centro Operativo Anti-Aids dell’Istituto Superiore della Sanità: «Su 4.300 nuovi casi, 1.400 hanno più di sessant’anni». Qualcuno ha già fatto ironia inutile sui tardivi entusiasmi giovanil-farmacologici. Il problema non è una recuperata attività, ma la leggerezza della riscoperta che fa il paio con quella della scoperta iniziale dei ragazzi.

In un incontro di fine ottobre a Milano, il professor Mario Moroni, primario storico al Sacco, presidente dell’Anlaids Lombardia, ha avvertito: «I nuovi contagi arrivano fino ai settantenni. Spesso hanno rapporti con prostitute, aiutati dalle nuove medicine». Ma è sull’emotività affaticata e ansiosa di cogliere ancora gioia, sul fatalismo di un conto alla rovescia già impostato che insiste Moroni: «Ci sono capitati soggetti che, consapevoli di essere stati contagiati, sono venuti a chiederci di garantirgli ancora dieci anni di vita dignitosa. Del virus nemmeno si preoccupano e continuano a cercare rapporti non protetti con prostitute». Prostituzione - e immigrazione che comporta - sono per tutte le generazioni una polveriera secondo Aiuti: «Uno su tre dei nuovi casi riguarda immigrati.

Non il nero al semaforo, non soltanto lui, c’è tutto l’Est, Moldavia, Ucraina, le strade, le ragazze violentate per essere convinte, violentate da protettori già infetti». Eppure la roulette russa del sesso porta clienti a pagare il triplo per non usare un preservativo. Poi a casa c’è la moglie, poi la moglie ha un amico, pure lui sposato... E i viaggi, gli incontri via Internet. Non esiste soltanto il turismo sessuale. Ci sono le missioni di lavoro che si concludono in avventure. Ed è dispersione l’assenza di diagnosi precoci: che vuoi che succeda per una volta, figurati se proprio io. Anche questa attesa rende tardiva la corsa ai ripari, ai farmaci che comunque prolungano una vita dignitosa, a una coscienza che può rallentare la diffusione.

Un video tedesco in Internet mostra un focoso amplesso. Alla fine lui solleva il viso. È Hitler. Assassinio di massa, dice la campagna.

(da LASTAMPA.IT )
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