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E' giusto parlare ancora di "letteratura gay"?

Ultimo Aggiornamento: 04/10/2008 09:27
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01/10/2008 23:20

...intervista allo scrittore americano Edmund White...
NON CHIAMATELA LETTERATURA GAY
Edmund White: «Un genere inesistente. Nabokov meglio di Mann»

Incontri L'autore de «Il giovane americano» smonta una tendenza cara più ai critici che agli scrittori

di STEFANO BUCCI

Questa estate, dalla sua New York, è volato ancora una volta in Provenza. Per la «solita» vacanza divisa tra lunghe passeggiate, brevi bagni in mare, piacevoli conversazioni sul bordo di una piscina. Tutto terribilmente scontato almeno per un intellettuale americano innamorato dell'Europa come lui. Eppure Edmund White (nato a Cincinnati il 13 gennaio del 1940 come Edmund Valentine White III) non esita a mostrarsi critico verso certi atteggiamenti di quel Vecchio Continente da lui tanto amato: «Gli europei dicono di credere nell'universalismo, ma finiscono per dividere sempre gli americani per minoranze. E questo vale anche in letteratura: il romanzo nero, il romanzo gay, il romanzo ebreo. Sembrano volersi dimenticare che siamo tutti solo elementi, ugualmente importanti, di una stessa civiltà. Cosa sarebbe l'America senza James Baldwin, Toni Morrison, Saul Bellow, Philip Roth ma anche senza di noi, piccoli scrittori gay». E aggiunge: «Oggi ci sono fin troppi romanzi gay, c'è il gay mistery, la gay novel cowboy, il gay teen romance. L'importante è non giudicarli perché parlano di omosessualità, piuttosto perché sono belle storie oppure brutte, proprio come tutti gli altri romanzi eterosessuali».

Da europei banalmente tradizionali, ci si potrebbe ad esempio immaginare che White, avendo fatto della propria omosessualità «carne da romanzo» ( Il giovane americano, La sinfonia dell'addio, l'autobiografico My lives),

amasse un queer cult come Morte a Venezia di Mann. Invece no perché «descrive l'omosessualità come qualcosa di fetido, di mortifero o al massimo di platonico». E, mentre sta per entrare in tribunale della Grande Mela come giurato, aggiunge: «Da teenager cercavo di leggere tutto quello che mi facesse sentire meno solo nella mia diversità, che potesse in qualche modo giustificarla. Purtroppo i primi libri che mi sono capitati sotto mano in biblioteca sono stati due libri "sbagliati" come Morte a Venezia e la biografia di Nijinsky scritta dalla moglie in cui si descriveva Diaghilev come un diavolo e il grande danzatore come un santo traviato».

I personaggi difficili lo hanno, comunque, sempre affascinato (a Jean Genet aveva dedicato Ladro di stile) ma la loro, eventuale, omosessualità appare solo come un tassello, spesso minimo, di un ben più grande affresco. Nel suo Hotel de Dream

(da poco pubblicato in Italia da Playground) si è, ad esempio, cimentato con successo con la vita romanzata di Stephen Crane (autore del Segno rosso del coraggio): «Sono sempre più attirato dalle fiction storiche, soprattutto da quelle che hanno come protagonisti gli scrittori. I miei modelli sono The Master di Colm Toibín dedicato a Henry James o The blue flower di Penelope Fitzgerald dedicato a Novalis. Dopo Crane, mi piacerebbe raccontare la tragica storia di Kleist».

Impossibile, comunque, scindere l'esperienza letteraria di Edmund White da quella personale (è stato tra i primi a dichiararsi sieropositivo, ha fatto parte del gruppo di scrittori chiamati The Violet Quill poi letteralmente decimato dall'Aids). Eppure dice: «L'omosessualità resta un territorio praticamente inesplorato per un romanziere. Certo sono stati già scritti tanti romanzi gay, ma molto se ne potrebbero ancora scrivere. Penso, ad esempio, a una storia lunga trent'anni di due uomini, uno straight e l'altro gay, a volte vicini, a volte lontanissimi ». Lui, che dell'Aids ha fatto il protagonista dell'Uomo sposato, tiene però a chiarire: «Nel cosiddetto mondo civile, l'Aids uccide e continua a uccidere molto, ma nei Paesi del Terzo Mondo è una piaga terrificante».

In Usa è appena uscita la sua raccolta di racconti

Caos (in Italia Playground la pubblicherà a ottobre del 2009): nella prefazione White confessa di sentirsi ormai «uno scrittore fuori moda ». E allora la nuova letteratura camp? «Un tempo ho molto amato Tondelli, non conosco però molto delle nuove generazioni di scrittori italiani; ora mi piacciono Barry McCrea, autore di The first verse, un giovane irlandese che insegna a Yale; René de Ceccatty con il suo Aimer;

trovo terrificante Skin lane di Neil Bartlett ». Si parla molto bene di André Aciman e del suo Chiamami con il tuo nome: «Certamente è uno scrittore raffinato, ma non credo che possa essere definito giovane visto che ha già superato la cinquantina. E non so neppure se gli farebbe piacere essere definito scrittore gay visto che ha una moglie e dei figli».

I suoi modelli oltrepassano evidentemente il confine del «genere». Ad esempio, Susan Sontag: «È stata una mia carissima amica, poi è diventata una mia nemica, penso che i suoi romanzi siano goffi, ma i suoi saggi hanno formato ogni "testa pensante" della mia generazione ». E poi Vladimir Nabokov: «Ha detto di aver ammirato il mio primo romanzo, Forgetting Elena; lo considero il più virtuoso e appassionato scrittore del ventesimo secolo ». Infine Christopher Isherwood: «Lo ammiro più per l'esempio di vita che per l'ispirazione letteraria, anche se credo che con il suo A single man

del 1964 sia iniziata l'epoca della moderna letteratura gay». Tra i critici cita ancora la Sontag: «È stata un modello, grazie a lei gli americani si sono avvicinati alla cultura europea ». Accanto a lei Roland Barthes, Cioran, W. G. Sebald, Michael Wood.

White sembra davvero essere contrario a ogni forma di steccato, di divisione. Non senza qualche venatura polemica: a proposito della storia del maggiore Alan G. Rogers morto in Iraq: «Credo che molti americani siano imbarazzati perché un eroe dell'Iraq è stato discriminato soltanto perché omosessuale, dopo avere dato la vita per la propria patria». Dell'Italia cosa pensa? «Secondo me è il Paese dove si vive meglio al mondo». Dell'Italia ricorda le esperienze del Fuori e di Mauro Mieli («negli anni più recenti, con la svolta politica a destra, queste esperienze sono state dimenticate»). Ma soprattutto le settimana che ancora oggi trascorre alla porte di Firenze, nella colonia degli scrittori di Santa Maddalena guidata da Beatrice von Rezzori: «Nella sua capacità di attirare gli scrittori da ogni parte del mondo ritrovo il simbolo della stessa bellezza dell'Italia». E White, che dice di votare Obama perché «ci guiderà in un nuovo mondo fatto di progresso e di pace razziale», si illumina soprattutto quando parla delle sue passioni. Come la musica: «La amo tutta, da Mozart ad Alban Berg, da Pergolesi a Stravinskij. Se potessi avere una seconda vita, vorrei nascere musicista».

(da GAYNEWS.IT )

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...Ragazzi che amano ragazzi...

Vent’anni dopo: ragazzi che continuano ad amare ragazzi

Feltrinelli sta per pubblicare, a vent’anni di distanza dalla prima, la decima edizione di Ragazzi che amano ragazzi.

Il libro, scritto nel 1988 da Piergiorgio Paterlini, è considerato un vero cult ed il precursore della letteratura gay in Italia e, nonostante il tempo passato, un libro attualissimo.

“Se ancora tanti, troppi ragazzi - scrive l’autore nella nuova introduzione - si riconoscono in queste storie di vent’anni fa (quando non c’era internet, non c’erano, almeno capillarmente come oggi, né l’Arcigay né l’Agedo né le Famiglie Arcobaleno, non c’erano quasi libri, non c’erano i mille film e telefilm che oggi raccontano una “condizione” omosessuale serena e a volte felice) […] significa che il poco o tanto che è cambiato non basta”

Il libro, una raccolta di interviste, è una fotografia fedele della condizione omosessuale fatta da chi, all’epoca, la scopriva in se. Una foto scattata non solo ai ragazzi omosessuali, ma a tutti i giovani e al mondo che li circonda.

Un libro che ha anticipato la presa di coscienza da parte degli omosessuali, della propria condizione portandoli i fare ‘coming out’ sempre più presto.

“D’altra parte - continua Paterlini - solo un cieco potrebbe non vedere il tanto che è cambiato, nell’esperienza personale e collettiva. Allora, com’è? Come stanno le cose?”

Appunto: l’autore conclude laconicamente, rinviando ad un’ipotetica ventesima edizione di Ragazzi che amano ragazzi nel 2028

“Nelle epoche di transizione – più o meno lunghe, più o meno dolorose, più o meno cariche di vittime innocenti – è così che le persone vivono. Mai, nessuno, nel presente. Qualcuno ancora nel passato, qualcuno nel futuro che – speriamo – si sta costruendo.

Bisogna solo saperlo, e – mentre si dà aiuto e sostegno a coloro che si sono attardati, senza loro colpa ovviamente – bisogna guardare, e dare visibilità, anche a coloro che sono già là davanti, come segno di speranza e motore del cambiamento”

 

(da NAPOLIGAYPRESS.IT)

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