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E SE FOSSE TUTTA UNA MANFRINA?

Ultimo Aggiornamento: 24/06/2008 11:23
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24/06/2008 11:23

di Alessandro Corneli

Ciò che colpisce, nell’attuale scontro tra Berlusconi e l’opposizione (sinistra + magistrati), è l’atteggiamento della Lega, in particolare di Bossi, che quasi implora perché il dialogo tra maggioranza e opposizione non si interrompa, in quanto vede in esso la sola possibilità di arrivare all’agognata riforma del federalismo fiscale che, se condiviso, può essere approvato.

Facciamo allora un’ipotesi un po’ eretica. Questa: che la rottura del dialogo, la contrapposizione sul tema della giustizia, è una manfrina, e serve ad impedire riforme condivise, la prima delle quali riguarda proprio quel federalismo fiscale, che sarebbe la premessa sostanziale di un ben più ampio federalismo (politico-istituzionale), che non solo manderebbe in soffitta il centralismo statale, ma metterebbe a rischio anche l’unità nazionale: il Nord se ne andrebbe con il resto dell’Europa (del centro-nord) e il Sud raggiungerebbe i lidi dell’Africa.

Questa ipotesi non si può dimostrare con prove, ma ci sono alcuni indizi.

Il primo e più importante riguarda proprio la nascita del casus belli: e cioè i due emendamenti sulla giustizia al ddl sulla sicurezza. Dopo una buona partenza, all’insegna del rispetto, del dialogo e della collaborazione, tra maggioranza e opposizione, con il forte sostegno del Quirinale, che bisogno c’era di aprire l’offensiva sul tema incendiario della giustizia?

La risposta potrebbe essere: Berlusconi, forte della maggioranza e del largo consenso popolare, ha deciso di mettere fine al tormentone giudiziario. Ma si sa che alla gente i suoi problemi giudiziari non interessano: lo dimostrano i voti dal 1994 in poi e la stessa sinistra politica ha capito che, insistere su questo tasto, non porta voti.

Berlusconi aveva davanti a sé un’autostrada di cose da fare, e aveva cominciato a percorrerla bene con le prime decisioni, soprattutto sul fronte dell’economia, della sicurezza e dell’emergenza rifiuti. Poi la svolta dei due emendamenti. Che con la soluzione di questo problemi non c’entrano molto. E’ concepibile un errore di valutazione dopo una campagna elettorale geniale e una vittoria schiacciante?

Secondo indizio. Il potere, in Italia, ha una fortissima vocazione centralistica. Che ne sarebbe dei vari centri di potere, Magistratura compresa, se si passasse ad un vero federalismo? Che senso avrebbe una politica economica del Governo se le risorse passassero ai poteri locali? Che fine farebbero i partiti e i sindacati nazionali, e lo stesso Parlamento nazionale? Infatti il solo federalismo che funziona è quello legato al presidenzialismo: caso americano. Ma se non c’è un presidente forte, che governa direttamente le ampie risorse dello Stato centrale (che in questo caso si chiama federale), lo stesso Stato centrale sparisce.

Ne segue che è legittimo pensare che tutti i poteri “nazionali e centralistici” siano contrari al federalismo. E che vogliano fare di tutto per impedirne la realizzazione, almeno nei modi auspicati dalla Lega.

Terzo indizio. La Lega ha avuto, nella Legislatura 2001-2006, la sua riforma costituzionale, grazie ai voti del solo centrodestra. Ma la riforma è stata bocciata dal referendum promosso dalla sinistra vincitrice delle elezioni del 2006. Quindi una Legislatura persa, secondo il modo di vedere della Lega. La quale, adesso, si è convinta che solo con il consenso di destra e sinistra potrà avere il federalismo. Essa infatti difende il dialogo, invita Berlusconi alla prudenza, invia segnali allarmanti (alla Camera ha votato due volte con l’opposizione la settimana scorsa). Insomma non si fida di Berlusconi. E non si fida nemmeno di Veltroni. Ma fa finta di credere che, se il dialogo tiene, avrà il federalismo.

Tremonti ha promesso alla Lega che si comincerà ad attuare fin dal prossimo autunno, per metterlo a regime entro tre anni. La Lega incassa ma non è convinta e dice che verificherà e deciderà: resta con le mani libere. D’altra parte, in uno Stato veramente federale, come vorrebbe la Lega, che potere avrebbe il ministro dell’Economia a livello centrale?

Quarto indizio. Non passa giorno che, nel fare la cronaca politica, i giornali ricordino che Berlusconi vuole andare al Quirinale, a coronamento di una Legislatura fattiva e concorde. Ma puo’ Berlusconi volere andare a ricoprire la carica di  Presidente della Repubblica se nel frattempo i poteri di questo organo fossero drasticamente ridotti? E, viceversa, potrebbero i vari “poteri forti nazional-centralisici” accettare Berlusconi al Quirinale passando per la distruzione dello Stato centrale? Probabilmente no. Ecco quindi una specie di accordo tacito: Berlusconi andrà al Quirinale se non farà il federalismo come lo vorrebbe la Lega. E per non farlo basta mandare all’aria quel dialogo su cui la Lega fa affidamento per vedere realizzati i suoi obiettivi. Oppure basta che i magistrati si scatenino contro Berlusconi, obbligandolo a reagire. Ecco spiegato il carattere strumentale dello scontro sulla giustizia.

E’ poi così eretica questa ipotesi di una grande manfrina? Forse la sfida, da una ventina di anni a questa parte, non è più tra destra e sinistra; ma tra chi cerca di tenere insieme un Paese comunque a pezzi mediante un centralismo sgangherato, e chi pensa che, invece, una tale realtà politico-economica (le due Italie) non può reggere..

Nel 2011 si celebreranno i 150 anni dell’unità d’Italia, ma forse il divario, tra gli Stati pre-unitari del Nord e quelli del Centro-Sud, non era inferiore di quello odierno. E allora? Può resistere un Paese in queste condizioni. C’è chi pensa di no. D’altra parte, le gradi potenze dell’Ottocento, che favorirono il processo indipendentistico italiano, non pensavano a una penisola unificata ma, appunto, a uno Stato settentrionale forse un po’ allargato (grosso modo la Padania), da inserire nel “concerto europeo”. Un secolo e mezzo non è poi molto nella vita di uno Stato. E se giusto un secolo fa, all’inizio del Novecento, l’Italia sembrava conquistare il suo spazio, oggi, dopo il fascismo e i governo della prima e della seconda Repubblica, le cose sono peggiorate. E l’Italia non ha più nemmeno un ruolo in un confronto Est-Ovest che non c’è più.

(tratto da GRRG.IT del 24/06/08)
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